Il paradiso e la scrittura di Guglielmo Peralta

Antropologia, metafisica, critica letteraria, epistemologia, etica, teologia? O più semplicemente, e più radicalmente, esercizio di scrittura poetica? Questa trasversalità di generi costituisce una ragione di fascino. È come surfare su una distesa marina come venti incostanti e talora contrastanti: tutto un gioco di tirare e lasciare, governare e abbandonarsi. In questo scenario, la scrittura ‒e in generale l’opera ‒ è “l’apertura verso l’Infinito, il modo di essere in questo spazio: artisticamente e spiritualmente, umanamente aperti infiniti incompiuti”. È facile intuire che, in questo contesto, nell’esperienza poetica c’è qualcosa di sacro. Ma il sacro non è il santo, è più comprensivo: accade anche là dove non c’è consapevole accettazione da arte dell’umano. Ma arriviamo al titolo del libro: chi produce e/o fruisce della poesia è un “un nuovo Adamo” che torna a “contemplare, ad essere per la Bellezza”. Egli fa del “giardino della scrittura” il nuovo “paradiso terrestre”, realizzando così “la ragione e il fine della scrittura medesima”. (Augusto Cavadi)

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